Titolo originale: Siddhartha
Titolo italiano: Siddhartha
Autore: Hermann Hesse
1ª ed. originale: 1922
Data di pubblicazione: 2002
Genere: Romanzo
Sottogenere: Storico
Editore: Edizione specialie per "La Repubblica"
Collana: Novecento
Traduzione:Massimo Mila
Pagine:128
Hermann Hesse nacque il 2 luglio 1877 a Calw nella Foresta nera come secondogenito di Johannes Hesse e sua moglie Marie, nata Gundert. La famiglia paterna è di origine baltico-tedesca, quella materna svevo-svizzera. Hesse frequenta inizialmente la scuola latina a Calw, dal 1891 entra nel seminario teologico protestante del monastero di Maulbronn, da dove fugge dopo pochi mesi. Dopo un apprendistato come meccanico presso la fabbrica di orologi per torri Perrot impara a Tubinga e a Basilea il mestiere di libraio e pubblica i suoi primi scritti (poesie e prosa). Da Basilea fa due viaggi in Italia. Nel 1904, dopo aver pubblicato il romanzo Peter Camenzind, che fu il suo primo grande successo letterario, sposa Maria Bernoulli e si trasferisce a Gaienhofen sul Lago di Costanza. Qui, nella solitudine della campagna nascono i suoi tre figli. Nel 1911 fa un viaggio nell'Asia orientale. Dal 1912 Hesse vive a Berna. Nel 1919 pubblica il famoso romanzo Demian. Senza la famiglia si trasferisce nello stesso anno a Montagnola (Ticino). Divorzia dalla mia prima moglie e sposa nel 1923 Ruth Wenger. Der Steppenwolf (Il lupo della steppa), probabilmente la sua opera più famosa, viene pubblicato nel 1927 per il suo 50mo compleanno.Nel 1931 si sposa per la terza volta con Ninon Dolbin, nata Ausländer. Nel 1924 Hesse diventa cittadino svizzero. Ancora durante la seconda guerra mondiale pubblica la sua opera programmatica: Das Glasperlenspiel (Il giuoco delle perle di vetro, 1943). Nel 1946 gli viene assegnato il premio nobel per la letteratura. Muore il 9 agosto 1962 a Montagnola.
Premi:
1936 - Gottfried-Keller-Preis
1946 - Premio Nobel per la Letteratura
1946 - Premio Goethe
1950 - Wilhelm-Raabe-Preis
1955 - Friedenspreis des Deutschen Buchhandels
1902 - Il lupo
1904 - Peter Camenzind
1906 - Sotto la ruota (Unterm Rad)
1908 - Amicizia (Freunde)
1910 - Gertrude (Gertrud)
1914 - Rosshalde
1915 - Knulp
1919 - Demian
1919 - Klein und Wagner
1919 - Notizie straordinarie da un altro pianeta (Märchen)
1920 - L'ultima estate di Klingsor (Klingsors letzter Sommer) - 3 racconti
1922 - Siddharta
1925 - La cura
1927 - Il lupo della steppa (Der Steppenwolf)
1928 - Crisi: pagine da un diario (Krisis: Ein Stück Tagebuch) -
1928 - Il miglioratore del mondo
1929 - Consolazione di notte
1929 - Una biblioteca della letteratura universale
1930 - Narciso e Boccadoro (Narziss und Goldmund)
1932 - Il pellegrinaggio in Oriente (Die Morgenlandfahrt)
1934 - L'albero della vita
1934 - Il mago della pioggia
1935 - Libro di fiabe
1936 - Il confessore
1936 - Ore in giardino - poemetto
1937 - Una vita indiana
1937 - Nuove poesie
1937 - Fogli di memorie (Gedenkblätter) - saggi
1943 - Il gioco delle perle di vetro (Das Glasperlenspiel)
1944 - Il ramo fiorito (Der Blütenzweig) - poesie (Gedichte)
1946 - Se la guerra va avanti... (Krieg und Frieden) - saggi
1951 - Prosa tarda - raccolta di brevi prose e liriche
1955 - Incantesimi - raccolta di brevi prose e liriche
1963 - Liriche tarde - raccolta di liriche, postume
N.D - La nebbia
Chi è Siddharta? È uno che cerca, e cerca soprattutto di vivere intera la propria vita. Passa di esperienza in esperienza, dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita degli affari, e non si ferma presso nessun maestro, non considera definitiva nessuna acquisizione, perché ciò che va cercato è il tutto, il misterioso tutto che si veste di mille volti cangianti. E alla fine quel tutto, la ruota delle apparenze, rifluirà dietro il perfetto sorriso di Siddharta, che ripete il "costante, tranquillo, fine, impenetrabile, forse benigno, forse schernevole, saggio, multirugoso sorriso di Gotama, il Buddha, quale egli stesso l'aveva visto centinaia di volte con venerazione". Siddharta è senz'altro l'opera di Hesse più universalmente nota. Questo breve romanzo di ambiente indiano, pubblicato per la prima volta nel 1922, ha avuto infatti in questi ultimi anni una strepitosa fortuna. Prima in America, poi in ogni parte del mondo, i giovani lo hanno riscoperto come un loro testo, dove non trovavano solo un grande scrittore moderno ma un sottile e delicato saggio, capace di dare, attraverso questa parabola romanzesca, un insegnamento sulla vita che evidentemente i suoi lettori non incontravano altrove.
Incipit:
SIDDHARTA
PARTE PRIMA
a Romain Rolland con rispettosa amicizia
IL FIGLIO DEL BRAHMINO
Nell'ombra della casa, sulle rive soleggiate del fiume presso le barche, nell'ombra del bosco di Sal, all'ombra del fico crebbe Siddharta, il bel figlio del Brahmino, il giovane falco, insieme all'amico suo, Govinda, anch'egli figlio di Brahmino. Sulla riva del fiume, nei bagni, nelle sacre abluzioni, nei sacrifici votivi il sole bruniva le sue spalle lucenti. Ombre
attraversavano i suoi occhi neri nel boschetto di mango, durante i giochi infantili, al canto di sua madre, durante i santi sacrifici, alle lezioni di suo padre, così dotto, durante le conversazioni dei saggi. Già da tempo Siddharta prendeva parte alle conversazioni dei saggi, si esercitava con Govinda nell'arte oratoria, nonché nello esercizio delle facoltà di osservazione e nella pratica della concentrazione interiore. Già egli sapeva come si pronuncia impercettibilmente 1'Om, la parola suprema, sapeva assorbirla in se stesso pronunciandola silenziosamente nell'atto di inspirare, sapeva emetterla silenziosamente nell'atto di espirare, con l'anima raccolta, la fronte raggiante dello splendore che emana da uno spirito luminoso. Già egli sapeva, nelle profondità del proprio essere, riconoscere l'Atman, indistruttibile, uno con la totalità del mondo.
Il cuore del padre balzava di gioia per quel figlio così studioso, così avido di sapere; era un grande sapiente, un sommo sacerdote quello ch'egli vedeva svilupparsi in lui: un principe fra i Brahmini.
La gioia gonfiava il petto di sua madre quand'ella lo guardava, quando lo vedeva camminare, quando lo vedeva sedere e alzarsi: Siddharta, così forte, così bello, che procedeva col suo passo snello, che la salutava con garbo così compìto.
L'amore si agitava nel cuore delle giovani figlie dei Brahmini, quando Siddharta passava per le strade della città, con la sua fronte luminosa, con i suoi occhi regali, così slanciato e nobile nella persona.
Ma più di tutti lo amava l'amico suo Govinda, il figlio del Brahmino. Amava gli occhi di Siddharta e la sua cara voce, amava il suo passo e il garbo perfetto dei movimenti, amava tutto ciò che Siddharta diceva e faceva, ma soprattutto ne amava lo spirito, i suoi alti, generosi pensieri, la sua volontà ardente, la vocazione sublime. Sapeva bene Govinda: questo non diventerà un Brahmino come ce n'è tanti, un pigro ministro di sacrifici, o un avido mercante d'incantesimi, un vano e vacuo retore, un prete astuto e cattivo, e non sarà nemmeno una buona, sciocca pecora nel gregge dei molti. No, e anch'egli, Govinda, non voleva diventare tale, un Brahmino come ce ne son migliaia. Voleva seguire Siddharta, il prediletto, il magnifico. E se un giorno Siddharta fosse diventato un dio, se fosse asceso un giorno nella gloria dei celesti, allora Govinda l'avrebbe seguìto, come suo amico, suo compagno, suo servo, suo scudiere, sua ombra.
Così tutti amavano Siddharta. A tutti egli dava gioia, tutti ne traevano piacere.
Ma egli, Siddharta, a se stesso non procurava piacere, noti era di gioia a se stesso. Passeggiando sui sentieri rosati del frutteto, sedendo nell'ombra azzurrina del boschetto delle contemplazioni, purificando le proprie membra nel quotidiano lavacro di espiazione, celebrando i sacrifici nel bosco di mango dalle ombre profonde, con la sua perfetta compitezza
d'atteggiamenti, amato da tutti, di gioia a tutti, pure non portava gioia in cuore. Lo assalivano sogni e pensieri irrequieti, portati fino a lui dalla corrente del fiume, scintillati dalle stelle della notte, dardeggiati dai raggi del sole; sogni lo assalivano, e un'agitazione dell'anima, vaporata dai sacrifici, esalante dai versi del Rig-Veda, stillata dalle dottrine dei vecchi testi brahminici.
Nel cinquantenario della morte di Hermann Hesse (1877-1962) Adelphi ripubblica il suo più celebre romanzo, Siddhartha (1922), nella traduzione di Massimo Mila (1910-1988). Nell'elaborazione di questa fortunatissima traduzione italiana, la più letta al mondo tra le sessanta disponibili nelle varie lingue, si può affermare, per dirla con Claudio Magris, che il giovane Mila sia stato effettivamente un "coautore" dello scrittore svevo. La gestazione della versione di Mila, infatti, rispetto alle condizioni normali di chi traduce trascrivendo subito ogni abbozzo di frase, è stata forzatamente più vicina a quella di uno scrittore che elabora nella mente ogni pensiero più volte, prima di oggettivarlo materialmente sulla pagina. Perché Mila, nel carcere in cui si trovava quale antifascista, non aveva a disposizione né carta né penna e doveva quindi interiorizzare ciò che andava traducendo frase per frase, rimandando a tempi più felici (il 1945) la loro concreta stesura, essendo stato condannato a sette anni di carcere, di cui, grazie a un'amnistia per la nascita di un rampollo di casa reale, ne avrebbe scontato cinque tra Le Nuove di Torino e Regina Coeli di Roma. La colpa era quella di avere fatto, come amava dire scherzosamente, il "corriere della droga", portando in Francia, attraverso i valichi che ben conosceva quale appassionato alpinista, importanti comunicati agli antifascisti esuli oltralpe, tra cui i fratelli Rosselli, scritti con l'inchiostro simpatico su degli spartiti musicali che, in mano a un giovane musicologo, non avrebbero destato sospetti, se, come ricordava l'amico Norberto Bobbio, non fosse stato denunciato all'Ovra da Pitigrilli. Soffermarsi su ogni parola del romanzo di Hesse (il tedesco era l'unica lingua da cui era allora permesso tradurre) per meditare a lungo sul suo migliore corrispettivo nella lingua italiana, rappresentò per Mila una forma di evasione dal carcere o almeno una sorta di "innere Emigration" nello spirito elevato del nobile umanista svevo, da parte di chi il fascismo aveva però deciso di combatterlo a viso aperto. Già a diciannove anni, firmando la lettera di solidarietà a Benedetto Croce, definito da Mussolini "imboscato della storia" per le sue critiche ai Patti lateranensi, Mila era stato incarcerato per due settimane. È per questo incontro negli anni del fascismo che Mila difese sempre Hesse, anche quando più tardi lo scrittore, letto ovunque superficialmente da chi neppure si interessava di sapere da quale cultura venisse, divenne "il patriarca degli hippies", poco apprezzato dai critici militanti che gli preferivano autori dall'ermeneutica più complessa, e in fondo anche diffidenti di quel pericoloso vitalismo, dimostratosi deleterio per la cultura tedesca: Cesare Cases gli rimproverava un semplicistico "misticismo da quattro soldi", mentre per Giuseppe Bevilacqua Hesse avrebbe ridotto il meditato buddismo di Schopenhauer nell'"imparaticcio Zen delle generazioni recenti". Sicuramente Siddhartha ? nella sua "generica e facile esortazione alla saggezza", ossia all'abbandono al Tutto nel superamento degli egoistici quanto asfittici limiti individuali – è inferiore ai più sofferti e autobiografici racconti giovanili quali Sotto la ruota (non a caso l'opera più letta in Giappone, ancora oggi una "Zwangsgesellschaft"), Peter Camenzind o Gertrud. In questi racconti, la particolareggiata ambientazione tedesco-meridionale, caratterizzata dal contrasto tra natura generosa e umanità filistea, è assai più felice di quella indiana, schematica e volutamente trasfigurata. L'umanista Hesse, pacifista della prima ora, per tutta la vita impegnato a far capire che solo un disciplinato esercizio dello spirito, non disgiunto dall'amore per la natura, ci rende liberi, è certo oggi ancora consigliabile a un adolescente quale lettura formativa, sicuramente più di quanto non lo sia un Coelho qualunque. Oggi possiamo condividere il giudizio di Claudio Magris che nel 1980, dopo averne rilevato i limiti, scrisse che "Hesse è un grande esempio umano di cordialità e di saggezza, di ironica libertà e amabile felicità (…), di quella responsabile armonia che infonde all'individuo gioia e sicurezza". Il volume è corredato di altri scritti di Hesse relativi all'Oriente e alla sua Weltanschauung, di fotografie, lettere, due saggi di Stefan Zweig e Hugo Ball e di un'ampia nota introduttiva di Massimo Mila. Un'ottima occasione per rimeditare sullo scrittore, primo premio Nobel tedesco del dopoguerra (1946), proprio in forza del suo messaggio universalistico.