Titolo originale: IL Gattopardo
Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
1ª ed. originale: 1958
Data di pubblicazione: 2002
Genere: Romanzo
Sottogenere: Storico
Editore: Giangiacomo Feltrinelli
Collana:La Biblioteca di Repubblica - Novecento (Anno 2002)
Pagine: 221
Nasce il 23 dicembre 1896 a Palermo, da famiglia aristocratica (quella dei principi di Lampedusa, duchi di Palma e Montechiaro). Ad aprile del 1915 si iscrive presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma, ma nel novembre dello stesso anno viene chiamato alle armi: partecipa alla Prima Guerra Mondiale, è fatto prigioniero nel novembre del 1917 e solo dodici mesi dopo - fuggito dal campo di reclusione - riesce a rientrare in patria. Congedato dall'esercito con il grado di tenente, fa ritorno a Palermo nel 1920. Nel corso del decennio seguente, effettua numerosi viaggi in Italia ed all'estero, da solo o più spesso in compagnia della madre; durante uno di essi, nel 1925, conosce a Londra, all'ambasciata d'Italia, la principessa Licy Wolff Stomersee, studiosa di psicanalisi, che sposerà sette anni più tardi in una chiesa ortodossa, a Riga. Dopo aver dato il proprio contributo anche al secondo conflitto mondiale e veduto la casa avita devastata dai bombardamenti, Giuseppe e la consorte si trasferiscono - a seguito di varie vicissitudini - in via Butera, a Palermo. Negli anni '50, egli si lega d'amicizia coi frequentatori della casa del barone Sgadari di Lo Monaco: Francesco Agnello, Francesco Orlando, Antonio Pasqualino e soprattutto Gioacchino Lanza Tomasi.
Alla fine del '54, comincia a scrivere "Il Gattopardo"; nel giugno dell'anno successivo, interrompe la stesura del romanzo per dedicarsi a quella dei "Ricordi d'infanzia", riprendendola infine a novembre. Dipoi, lavora ad altri testi ("La gioia e la legge", "La sirena", il primo capitolo del nuovo romanzo "I gattini ciechi"): ma nell'aprile del 1957 gli viene diagnosticato un carcinoma al polmone destro, che ne cagiona la morte il 23 luglio dello stesso anno (la salma verrà inumata, il 28 del mese, nella tomba di famiglia al cimitero dei Cappuccini). Rifiutato dalla Mondadori, "Il Gattopardo" trova la via della pubblicazione nel 1958, presso Feltrinelli, grazie all'attivo interessamento ed alla curatela di Giorgio Bassani. Accolto da un enorme successo, il libro vince il Premio Strega nel '59.
* Il gattopardo - Data pubblicazione: 1958
* I racconti (l mattino di un mezzadro, La gioia e la legge, Lighea, I luoghi della mia prima infanzia) - Data pubblicazione: 1961
* Lezioni su Stendhal - Data pubblicazione: 1977
* Invito alle lettere francesi del Cinquecento
* Letteratura inglese
* Il mito, la gloria - Data pubblicazione: 1989 (Scritti gia pubbl. in: Le opere e i giorni, 1926-1927 )
* Licy e il Gattopardo: lettere d’amore di Giuseppe Tomasi di Lampedusa - Data pubblicazione: 1995
* Raccolte di Opere
Il libro narra delle vicende di una famiglia aristocratica siciliana e dei suoi componenti. Il personaggio principale, attraverso cui si snoda la sequenza degli eventi, è don Fabrizio, il nobile siciliano testimone della venuta dei Mille nella sua terra. E’ un nobile colto ed autorevole, che sembra non esser scosso minimamente dai cambiamenti avvenuti nella sua terra. Dopo l’annessione al regno d’Italia, gli viene proposto un importante incarico come personaggio politico, ma lo rifiuta, proponendo per lo stesso posto don Calogero, suocero del nipote Tancredi, ben più ambizioso e fiducioso nel cambiamento di lui. Fabrizio continua a vivere la sua vita, nonostante i cambiamenti sbandierati dai garibaldini e dai loro seguaci. Tancredi, ambizioso e acuto, si lascia trascinare dagli eventi, unendosi a questi “salvatori”, non seguito da Fabrizio, che non si lascia entusiasmare, pur permettendo al nipote, più giovane e spregiudicato, di seguire la sua strada. Fabrizio, fatalista ed annoiato dal suo ruolo e da quelli del suo stesso rango, si lascia dolcemente sospingere dai fatti, che presto non si dimostrano sconvolgenti e tanto innovativi come s’era annunciato. Neanche quelle che possono apparire come delle difficoltà sembrano spaventarlo: ne’ le tasse regie che arrivano per i siciliani, né il nipote che invece di sposare sua figlia sceglie come moglie Angelica, figlia di don Calogero, uomo ricco, ma non nobile. Il libro si chiude proprio con la descrizione degli eventi visti da Concetta, la figlia di don Fabrizio, rimasta zitella dopo che l’amato Tancredi aveva preferito a lei l’altra. Nessuno di questi eventi pare turbare l’inerzia di Fabrizio, che continua a vivere come se niente fosse fino alla sua morte.
Incipit:
PARTE PRIMA
Maggio 1860
"Nunc et in bora mortis nostrae. Amen."
La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz'ora la voce pacata del Principe aveva ricordato i Misteri Dolorosi; durante mezz'ora altre voci, frammiste avevano tessuto un brusio ondeggiante sul quale si erano distaccati i fiori d'oro di parole inconsuete: amore, verginità, morte; e mentre durava quel brusio il salone rococò sembrava aver mutato aspetto; financo i
pappagalli che spiegavano le ali iridate sulla seta del parato erano apparsi intimiditi; perfino la Maddalena, fra le due finestre, era sembrata una penitente anziché una bella biondona, svagata in
chissà quali sogni, come la si vedeva sempre.
Adesso, taciutasi la voce, tutto rientrava nell'ordine, nel disordine, consueto. Dalla porta attraverso la quale erano usciti i servi l'alano Bendicò, rattristato dalla propria esclusione, entrò e scodinzolò. Le donne si alzavano lentamente, e l'oscillante regredire delle loro sottane lasciava a poco a poco scoperte le nudità mitologiche che si disegnavano sul fondo latteo delle mattonelle. Rimase coperta soltanto un'Andromeda cui la tonaca di Padre Pirrone, attardato in sue orazioni supplementari, impedì per un bei po' di rivedere l'argenteo Perseo che sorvolando i flutti si affrettava al soccorso ed al bacio.
Nell'affresco del soffitto si risvegliarono le divinità. Le schiere di Tritoni e di Driadi che dai monti e dai mari fra nuvole lampone e ciclamino si precipitavano verso una trasfigurata Conca d'Oro per esaltare la gloria di casa Salina, apparvero di subito colme di tanta esultanza da trascurare le più semplici regole prospettiche; e gli Dei maggiori, i Principi fra gli Dei, Giove folgorante, Marte accigliato, Venere languida, che avevano preceduto le turbe dei minori, sorreggevano di buon grado lo stemma azzurro col Gattopardo. Essi sapevano che per ventitré ore e mezza, adesso, avrebbero ripreso la signoria della villa. Sulle pareti le bertucce ripresero a far sberleffi ai cacatoés.
Al di sotto di quell'Olimpo palermitano anche i mortali di casa Salina discendevano in fretta giù dalle sfere mistiche. Le ragazze raggiustavano le pieghe delle vesti, scambiavano occhiate azzurrine e parole in gergo di educandato; da più di un mese, dal giorno dei "moti" del Quattro Aprile, le avevano per prudenza fatte rientrare dal convento, e rimpiangevano i dormitori a baldacchino e l'intimità collettiva del Salvatore. I ragazzini si accapigliavano di già per il possesso di una immagine di S. Francesco di Paola; il primogenito, l'erede, il duca Paolo, aveva già voglia di fumare e timoroso di farlo in presenza dei genitori, andava palpando attraverso la tasca la paglia intrecciata del portasigari; nel volto emaciato si affacciava una malinconia metafisica: la giornata era stata cattiva: "Guiscardo," il sauro irlandese, gli era sembrato giù di vena, e Fanny non aveva trovato il modo (o la voglia?) di fargli pervenire il solito bigliettino color di mammola. A che fare, allora, si era incarnato il Redentore? La prepotenza ansiosa della Principessa fece cadere seccamente il rosario nella borsa trapunta di jais mentre gli occhi belli e maniaci sogguardavano i figli servi e il marito tiranno verso il quale il corpo minuscolo si protendeva in una vana ansia di dominio amoroso.[/i]
Già dalla sua prima uscita, risalente al 1958, il romanzo suscita sì entusiasmo, ma anche molte perplessità. Infatti, nonostante ci troviamo negli anni in cui si fa evidente il declino di una letteratura politicamente impegnata, l’imponente figura del Principe di Salina, che di fronte al declino inesorabile della sua classe, l’impresa dei Mille e la conseguente ascesa del ceto borghese, non sa fare altro che osservare le stelle dal suo osservatorio astronomico, o teorizzare il salvataggio della vecchia aristocrazia, in accordo con la celebre formula " bisogna cambiare tutto perchè non cambi niente", fa subito gridare alla rinuncia e al reazionarismo. Lo stesso taglio tradizionale, quasi ottocentesco, del romanzo, nel momento di passaggio fra neorealismo e nuove soluzioni di narrativa, appare quasi un arretramento. In realtà, Il Gattopardo più che un romanzo storico può essere considerato una amara riflessione sul tema del disfacimento e della morte, cui fa da sfondo la descrizione di una di una Sicilia mitica ("la boscaglia... si trovava nell’intenso stato d’intrico aromatico nel quale l’avevano trovata Fenici, Dori e Ioni... venticinque secoli prima"). Ed è proprio a questi temi che è affidato il valore artistico, e perciò universale, del romanzo. Eppure, molti ragazzi hanno definito l’opera di Tomasi "barocca" e "ridondante" . Io credo però che di fronte questo capolavoro non si possa rimanere insabbiati in giudizi sterili, che tengono conto solamente del virtuosismo lessicale, che può risultare insidioso per il lettore più inesperto; ma coloro i quali concepiscono la letteratura come un calderone colmo di emozioni sempre nuove, non rimarranno di certo insensibili al cospetto di una delle descrizioni più terribili e al tempo stesso più affascinanti della terra siciliana. Ma, forse, solo gli abitanti di questa magnifica isola possono comprenderla a fondo.