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Julie Otsuka The Buddha in the Attic
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Description

VENIVAMO TUTTE PER MARE
(

THE BUDDHA IN THE ATTIC

)
di
Julie Otsuka





maggiori informazioni su - more information on: http://forum.tntvillage.scambioetico.org/index.php?showtopic=358372


La prima pagina - The first page

Sulla nave eravamo quasi tutte vergini. Avevamo i capelli lunghi e neri e i piedi piatti e larghi, e non eravamo molto alte. Alcune di noi erano cresciute solo a pappa di riso e avevano le gambe un po’ storte, e alcune di noi avevano appena quattordici anni ed erano ancora bambine. Alcune di noi venivano dalla città e portavano abiti cittadini all’ultima moda, ma molte di più venivano dalla campagna, e sulla nave portavano gli stessi vecchi kimono che avevano portato per anni – indumenti sbiaditi smessi dalle nostre sorelle, rammendati e tinti più volte. Alcune di noi venivano dalle montagne e non avevano mai visto il mare, tranne che in fotografia, e alcune di noi erano figlie di pescatori che conoscevano il mare da sempre. Forse il mare ci aveva portato via un fratello, un padre o un fidanzato, o forse un triste mattino una persona cara si era buttata in acqua e si era allontanata a nuoto, e adesso anche per noi era arrivato il momento di voltare pagina.
Sulla nave per prima cosa – prima di decidere chi ci piaceva e chi no, prima di raccontarci a vicenda da quale isola venivamo e perché eravamo partite, e anche prima di impegnarci a imparare i nomi delle altre – confrontammo le fotografie dei nostri mariti. Erano bei giovanotti con gli occhi scuri, i capelli folti e la pelle liscia e perfetta. Avevano il mento forte. Un bel portamento. Il naso dritto e pronunciato. Somigliavano ai nostri fratelli e padri rimasti a casa, però erano vestiti meglio, con redingote grigie ed eleganti, completi tre pezzi, all’occidentale. Alcuni di loro erano in posa sul marciapiede, davanti a case di legno dal tetto spiovente con lo steccato bianco e il praticello ben curato, e alcuni nel vialetto d’accesso, appoggiati a una Ford Model T. Alcuni sedevano su una sedia dall’alto schienale rigido nello studio del fotografo, le mani giunte con compostezza e lo sguardo fisso nell’obiettivo come se fossero pronti a sfidare il mondo. Tutti quanti avevano promesso di venire a prenderci a San Francisco, il giorno del nostro arrivo al porto.
Sulla nave ci chiedevamo spesso: ci piaceranno? Li ameremo? Li riconosceremo dalle foto, quando li vedremo per la prima volta sul molo?
Sulla nave dormivamo giù di sotto, in terza classe, al buio e in mezzo al sudiciume. I nostri letti erano brandine di metallo accatastate una sopra l’altra, con materassi duri, sottili e scuriti dalle macchie di altri viaggi, altre vite. I nostri cuscini erano imbottiti di pula di grano. I passaggi fra le cuccette erano disseminati di avanzi di cibo, e i pavimenti bagnati e scivolosi. C’era un solo oblò, e la sera, dopo la chiusura del boccaporto, il buio si riempiva di sussurri. Farà male? I corpi si giravano e rigiravano sotto le coperte. Il mare saliva e scendeva. L’aria era umida e soffocante. Di notte sognavamo i nostri mariti. Sognavamo sandali di legno nuovi e lunghissime pezze di seta color indaco, e sognavamo di vivere, un giorno, in una casa con il camino. Sognavamo di essere belle e alte. Sognavamo di essere tornate nelle risaie, da dove avevamo voluto disperatamente fuggire. I sogni delle risaie erano sempre incubi. Sognavamo le nostre sorelle più grandi e carine, vendute alla casa delle geishe da nostro padre perché il resto della famiglia potesse sfamarsi, e ci svegliavamo con la sensazione di soffocare.

Per un istante ho creduto di essere lei

.


On the boat we were mostly virgins. We had long black hair and flat wide feet and we were not very tall. Some of us had eaten nothing but rice gruel as young girls and had slightly bowed legs, and some of us were only fourteen years old and were still young girls ourselves. Some of us came from the city, and wore stylish city clothes, but many more of us came from the country and on the boat we wore the same old kimonos we’d been wearing for years—faded hand-me-downs from our sisters that had been patched and redyed many times. Some of us came from the mountains, and had never before seen the sea, except for in pictures, and some of us were the daughters of fishermen who had been around the sea all our lives. Perhaps we had lost a brother or father to the sea, or a fiancé, or perhaps someone we loved had jumped into the water one unhappy morning and simply swum away, and now it was time for us, too, to move on.
ON THE BOAT the first thing we did—before deciding who we liked and didn’t like, before telling each other which one of the islands we were from, and why we were leaving, before even bothering to learn each other’s names—was compare photographs of our husbands. They were handsome young men with dark eyes and full heads of hair and skin that was smooth and unblemished. Their chins were strong. Their posture, good. Their noses were straight and high. They looked like our brothers and fathers back home, only better dressed, in gray frock coats and fine Western three-piece suits. Some of them were standing on sidewalks in front of wooden A-frame houses with white picket fences and neatly mowed lawns, and some were leaning in driveways against Model T Fords. Some were sitting in studios on stiff high-backed chairs with their hands neatly folded and staring straight into the camera, as though they were ready to take on the world. All of them had promised to be there, waiting for us, in San Francisco, when we sailed into port.
ON THE BOAT, we often wondered: Would we like them? Would we love them? Would we recognize them from their pictures when we first saw them on the dock?
ON THE BOAT we slept down below, in steerage, where it was filthy and dim. Our beds were narrow metal racks stacked one on top of the other and our mattresses were hard and thin and darkened with the stains of other journeys, other lives. Our pillows were stuffed with dried wheat hulls. Scraps of food littered the passageways between berths and the floors were wet and slick. There was one porthole, and in the evening, after the hatch was closed, the darkness filled with whispers. Will it hurt? Bodies tossed and turned beneath the blankets. The sea rose and fell. The damp air stifled. At night we dreamed of our husbands. We dreamed of new wooden sandals and endless bolts of indigo silk and of living, one day, in a house with a chimney. We dreamed we were lovely and tall. We dreamed we were back in the rice paddies, which we had so desperately wanted to escape. The rice paddy dreams were always nightmares. We dreamed of our older and prettier sisters who had been sold to the geisha houses by our fathers so that the rest of us might eat, and when we woke we were gasping for air. For a second I thought I was her.

.



Il romanzo - The novel


Venivamo tutte per mare (The Buddha in the Attic)
trad. italiana di Silvia Pareschi, Bollati Boringhieri, ISBN-13: 978-8833922751
Pagine: 142

Lingue: italiano e inglese - English and Italian
Genere: storico
Dimensione del file: 6 Mb
Formato del file - File format: Azw3 - Epub - Mobi - Rtf

«Da anni» ha dichiarato Julie Otsuka, «volevo raccontare la storia delle migliaia di giovani donne giapponesi - le cosiddette spose in fotografia - che giunsero in America all'inizio del Novecento. Mi ero imbattuta in tantissime storie interessanti durante la mia ricerca e volevo raccontarle tutte. Capii che non mi occorreva una protagonista. Avrei raccontato la storia dal punto di vita di un noi corale, di un intero gruppo di giovani spose». Una voce forte, corale e ipnotica racconta dunque la vita straordinaria di queste donne, partite dal Giappone per andare in sposa agli immigrati giapponesi in America, a cominciare da quel primo, arduo viaggio collettivo attraverso l'oceano. È su quella nave affollata che le giovani, ignare e piene di speranza, si scambiano le fotografie dei mariti sconosciuti, immaginano insieme il futuro incerto in una terra straniera. A quei giorni pieni di trepidazione, seguirà l'arrivo a San Francisco, la prima notte di nozze, il lavoro sfibrante, la lotta per imparare una nuova lingua e capire una nuova cultura, l'esperienza del parto e della maternità, il devastante arrivo della guerra, con l'attacco di Pearl Harbour e la decisione di Franklin D. Roosevelt di considerare i cittadini americani di origine giapponese come potenziali nemici. Fin dalle prime righe, la voce collettiva inventata dall'autrice attira il lettore dentro un vortice di storie fatte di speranza, rimpianto, nostalgia, paura, dolore, fatica, orrore, incertezza, senza mai dargli tregua. Un altro scrittore avrebbe impiegato centinaia di pagine per raccontare le peripezie di un intero popolo di immigrati, avrebbe sprecato torrenti di parole per dire cos'è il razzismo. Julie Otsuka ci riesce con queste essenziali, preziose pagine.

The Buddha in the Attic is a 2011 novel written by American author Julie Otsuka about Japanese picture brides immigrating to America in the early 1900s. It is Otsuka's second novel. The novel was published in the United States in August 2011 by the publishing house Knopf Publishing Group. The Buddha in the Attic was nominated for a National Book Award for Fiction (2011) and won the Langum Prize for American Historical Fiction (2011), the PEN/Faulkner Award for Fiction (2012), and the Prix Femina Étranger (2012).
The New York Times compares the book to "the Japanese art of sumi-e, strokes of ink are brushed across sheets of rice paper, the play of light and dark capturing not just images but sensations, not just surfaces but the essence of what lies within. Simplicity of line is prized, extraneous detail discouraged. ... Otsuka’s incantatory style pulls her prose close to poetry."
The Guardian says, "This is a small jewel of a book, its planes cut precisely to catch the light so that the sentences shimmer in your mind long after turning the final page. With The Buddha in the Attic, Julie Otsuka has developed a literary style that is half poetry, half narration – short phrases, sparse description, so that the current of emotion running through each chapter is made more resonant by her restraint."
The Chicago Tribune says, "Read the book in a single sitting, and this chorus of narrators speaks in a poetry that is both spare and passionate, sure to haunt even the most coldhearted among us."
The Washington Independent Review of Books says "Though Knopf, publisher of The Buddha in the Attic, classifies the book as a novel, it is more like a beautifully rendered emakimono, hand-painted horizontal scrolls that depict a series of scenes, telling a story in frozen moments."





Qualche pensiero sul libro... (only Italian)

Ci sono cose che gli scrittori tendono a evitare, perché sono troppo difficili da sostenere per un intero romanzo. Una di queste è il pronome di prima persona plurare NOI. Non lo scrivi un romanzo, o anche solo un racconto, cominciando con il "noi" ogni benedetta frase. Il motivo principale è che si finisce per privare il lettore di un personaggio in cui identificarsi, fosse solo come punto di vista sulla vicenda. Insomma, è un rischio. Un rischio che Julie Otsuka si assume fino alle ultime conseguenze, dimostrando di riuscire a sfruttare quello che a prima vista parrebbe un semplice tour de force. Così questo libro non ha un protagonista. O, meglio, ne ha tantissimi. Perché il lavoro di Julie è stato proprio quello di collezionare centinaia di rapide testimonianze, frammenti di vita, di pensiero, di situazione, di ambiente, spargendoli come tantissime tessere di un puzzle di cui non si comprende l'immagine complessiva se non a chiusura del libro, quando tutti i "NOI" si depositano nella nostra mente e ci rendiamo conto di aver visto con mille occhi, patito con mille cuori, compreso con mille intelligenze un'esperienza incredibile e commovente, umana e toccante come da tempo non se ne leggevano.
Ciò che più mi ha ammaliato di questo libro è stata la sensazione di sfogliare con una certa rapidità un immenso albo fotografico pieno zeppo di immagini, tante tantissime figure che si alternavano veloci sulla retina della mia mente e che alla fine si componevano come i fotogrammi di un film. Una sensazione che ben pochi libri, negli ultimi anni, mi hanno saputo regalare con così tanta forza e delicatezza al tempo stesso.

L'edizione italiana, con quella copertina ammiccante e il titolo che richiama a una sirena o a un'ondina, forse tradisce lo spirito reale del libro, che in originale è appunto

The Buddha in the Attic

, il Budda in soffitta, come a dire che si può anche dichiararsi americani a buon diritto, ma dentro, da qualche parte, giapponesi si resta sempre, anche quando non si è più in grado di parlare la lingua dei propri padri. Ma la levità (sottolineata nell'edizione italiana) e l'appartenenza culturale (sottolineata nell'edizione americana) sono soltanto due aspetti di un romanzo che stupisce, a mio avviso, per altri motivi. Il primo, appunto, è la volontà di frantumare la storia in una cascata di tessere musive, senza alcun tradizionale approfondimento storico o culturale. L'intenzione è di suscitare un dialogo profondo fra animo e animo, tra le sensazioni immediate delle centinaia di protagoniste e la sensibilità del lettore. Non conosceremo una data in più di quanto ne sappiamo ora sulla storia dei giapponesi negli USA. Conosceremo però ogni loro singolo turbamento, ogni sorpresa, ogni stupore, ogni dolore, ogni gioia, ogni rimpianto.
Alla fine del romanzo, sarà come aver chiuso gli occhi per tutte quelle pagine ed esserci immersi in quella coralità, che adesso è indelebilmente marchiata dentro di noi.

Per quanto mi riguarda, una sorpresa assoluta, per adesso la più forte di questo 2013.

Prima di questo romanzo, l'autrice ha scritto

Quando l'Imperatore era un dio

, che in Italia è stato pubblicato dopo

Venivamo tutte per mare

, quasi fosse il suo seguito ideale (e, in effetti, seguendo le vicende narrate lo può essere dal punto di vista cronologico), mentre in realtà è stato in origine pubblicato prima. Si tratta di un romanzo dall'impianto più tradizionale (e forse un po' furbetto).



L'autrice - The author



Julie Otsuka è nata il 15 maggio 1962 a Palo Alto, in California (USA). Suo padre lavorava come ingegnere aerospaziale, mentre la madre era tecnico di laboratorio. Lascò poi il lavoro dopo la nascita di Julie, per dedicarsi alla bimba e alla famiglia. Entrambi i suoi genitori sono di origine giapponese: il padre è un Issei, ossia un giapponese della prima generazione, ossia nato in Giappone ed emigrato in America; la madre è invece una Nisei, una giapponese della seconda generazione, nata quindi negli Stati Uniti da genitori Issei.
Quando Julie aveva 9 anni, la sua famiglia si trasferì a Palos Verdes, sempre in California, dove tuttora vive.
Julie Otsuka ha due fratelli, uno dei quali, Michael Otsuka, è attualmente docente all'University College di Londra.

Dopo il diploma di scuola superiore, Julie ha frequentato la Yale University e si è laureata con un Bachelor od Arts nel 1984. Ha poi conseguito un Master of Fine Arts alla Columbia University nel 1999.
Il suo romanzo d'esordio,

Quando l'Imperatore era un dio

, affronta l'internamento dei giapponesi americani durante la Seconda Guerra Mondiale ed è stato pubblica nel 2002 da Alfred A. Knopf.
Il suo secondo romanzo,

Venivamo tutte per mare

(2011), parla dell'emigrazione e dell'integrazione delle donne giapponesi in America, chiamate nella nuova terra dagli uomini giapponesi che le avevano sposate per procura. Dal 2012, Julie Otsuka vive a New York.

Julie Otsuka was born on May 15, 1962, in Palo Alto, California. Her father worked as an aerospace engineer, while her mother worked as a lab technician before she gave birth to Otsuka. Both of her parents were of Japanese descent, with her father being an issei and her mother being a nisei. At the age of nine, her family moved toPalos Verdes, California. She has two brothers, one of whom, Michael Otsuka, is currently teaching at University College London.
After graduating from high school, Otsuka attended Yale University, and graduated with a Bachelor of Arts degree in 1984. She later graduated from Columbia University with a Master of Fine Arts degree in 1999. Her debut novel When the Emperor was Divine dealt with Japanese American internment during World War II. It was published in 2002 by Alfred A. Knopf. Her second novel, The Buddha in the Attic (2011), is about Japanese picture brides. As of 2012, Otsuka lives in New York City.




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